lunedì 24 maggio 2010

Spiaggia e libero transito, chiediamo che venga rispettata la volontà del Consiglio Comunale

 

Dopo il teatrino degli incontri con le categorie per varare l'ordinanza balneare l'ex Vice Sindaco, neo assessore Regionale al Turismo, Maurizio Melucci ha preso in mano la situazione e con lo stile che da sempre lo contraddistingue si è rimangiato tutto, dimostrando nessun rispetto per il Consiglio Comunale.


Facciamo un passo indietro e ricostruiamo la vicenda del piano spiaggia nella parte che ha attinenza con l'ordinanza balneare, in particolare sulla densità degli ombrelloni nella fascia denominata C2.


Il 9 Luglio 2009 il Consiglio Comunale, dopo innumerevoli Commissioni per la riadozione del piano spiaggia (piano notevolmente modificato in favore della categoria dei balneari), approvava la delibera con due allegati, uno dei quali era a firma del Sindaco.


Tralasciamo volutamente tutti i vantaggi a favore della categoria dei balneari rispetto alla prima versione del piano risalente al 2005 (che è stata oggetto di ricorso al TAR proprio da parte dei bagnini), per soffermarci su una parte dell'emendamento del Sindaco, quella che non prevede ombreggio nella fascia C2.


Il piano venne pubblicato e nei 90 giorni successivi furono presentate le osservazioni, molte delle quali tese a sovvertire l'emendamento prima citato. Lo scopo era chiaro: riammettere gli ombrelloni nella C2.


In Commissione, su proposta dell'ex Vice Sindaco Melucci, furono discusse tutte le osservazioni eccetto quella che riguardava appunto la fascia C2.


Da notare che durante i lavori qualora un'osservazione tentasse di mettere in discussione l'emendamento del Sindaco veniva automaticamente respinta con la seguente dizione: "No, l'approvazione dell'emendamento corrisponde ad una precisa volontà amministrativa approvata dal Consiglio Comunale".


La nuova ordinanza di fatto ignora la precisa volontà del Consiglio Comunale di non prevedere ombreggio nella fascia C2 e accoglie le richieste dei balneari: 15 metri di libero transito e il resto in concessione ai bagni, con la possibilità di installare gli ombrelloni anche nella fascia C2.


La volontà del Consiglio Comunale non è rispettata. Questo è un fatto di una gravità assoluta.


Considerato che un'ordinanza non può sovvertire il voto espresso dal Consiglio, che è l'organo sovrano, chiediamo al neo Vice Sindaco e Assessore al Turismo Antonio Gamberini di recuperare il vulnus di illegittimità causato da chi l'ha preceduto.


Noi avevamo chiesto 30 metri di libero transito, Melucci aveva proposto 20 metri più altri 15 dove mettere solo le brandine. Alla fine si è rimangiato tutto, l'ordinanza è lì a dimostrarlo.


Prendiamo atto della manifesta subalternità del neo assessore regionale Maurizio Melucci verso i balneari, i quali non fanno l'interesse né della città, nè dell'offerta turistica.


Per esempio mentre il presidente di Oasi Confartigianato Giorgio Mussoni dichiarava di voler un ombrellone ogni 18 mq a nord e 12 mq a sud per aumentare la qualità della vita in spiaggia, i suoi stessi aderenti chiedevano e ottenevano misure ben più compatte: 12 mq a nord e 9 mq a sud.


È evidente che l'ottimo per questi signori sarebbe fare pagare il biglietto di ingresso e non avere la fascia di libero transito.


Di fronte a questo scenario che noi avversiamo e contrastiamo, vogliamo stigmatizzare il reiterato gioco di sponda tra balneari e assessore riminese in giunta regionale Maurizio Melucci e l'imbarazzante silenzio sull'intera vicenda da parte del Segretario del nostro Partito Andrea Gnassi.



Massimo Allegrini e Fabio Pazzaglia (consiglieri comunali Pd)


P.s.: in questi giorni si cominciano già a vedere i paletti degli ombrelloni e in alcuni casi sono molto vicini all'acqua. L'anno scorso numerosi reclami vertevano proprio sul fatto che non c'era spazio per il libero transito. I balneari confidano che anche quest'anno non ci siano controlli. Proponiamo di dare un segnale ai cittadini e ai turisti attivando da subito il controllo della fascia di libero transito.

Libertà vo’ cercando - Quando si dice no

Non me ne vorrà Gherardo Colombo se, per riflettere sul suo articolo, comincio dalla parabola evangelica del giovane ricco. Un tale si avvicina a Gesù, gli si inginocchia davanti e gli chiede: "Che cosa devo fare per avere la vita eterna". Gli risponde Gesù: "Osserva i comandamenti". "Ma questo lo faccio fin dalla giovinezza!". Allora Gesù gli dice: "Ti manca una cosa sola: vendi tutto quello che hai, dallo ai poveri e vieni e seguimi". Ma il giovane se ne andò contristato perché aveva molti beni.
Siamo di fronte a un bravo giovane, contento di fare il proprio dovere, a posto con la sua coscienza. Si aspettava una benedizione di incoraggiamento - "continua così che vai bene" - e invece quello che gli propone Gesù è un capovolgimento di vita, a cominciare delle ricchezze da dare ai poveri. In sostanza gli dice: "Sei cresciuto nell'osservanza dei comandamenti, ma sei prigioniero delle tue sicurezze, non ti manca nulla salvo una cosa: la libertà. E allora pianta lì tutto e vieni e seguimi".
Non ho trovato niente che meglio esprima il confine fra le antinomie volere e dovere, libertà e obbligo, scelta e obbedienza. Ciò che più interessa a Colombo è riflettere sulla percezione soggettiva di tale confine. In altre parole: due persone hanno lo stesso comportamento, ma l'una per dovere, l' altra perché lo ha scelto; l'una per obbedire, l'altra perché ne è profondamente convinta. Il confine fra i due modi di dire "sì" è sottile ma tutt'altro che irrilevante.

Che succede invece quando uno dice "no", cioè disobbedisce, non fa il proprio dovere? E' il caso dell'obiezione di coscienza all'obbligo di leva, che il codice militare di pace assimila alla disobbedienza grave. In questo caso non c'è dubbio che il volere prevale sul dovere, che si tratta insomma di una libera scelta, più o meno validamente motivata. Ne parlo essendo stato nel 1962 (avevo già 26 anni) il primo obiettore di coscienza cattolico in Italia (un marchio che mi è rimasto per tutta la vita).
A monte di questa mia scelta c'era un cammino di formazione nel quale confluivano le motivazioni più diverse: il pericolo dell'olocausto atomico (soprattutto dopo la crisi dei missili di Cuba) percepito (non solo da me e stranamente allora più di oggi!) come un incubo; la lettura di Gunther Anders; la vicinanza a gruppi pacifisti laici o religiosi (allora molto piccoli); le frequentazioni antimilitariste anarchiche; i campi di lavoro con il Servizio civile internazionale; l'aiuto a nascondere i disertori francesi dalla guerra d'Algeria; la conoscenza di Jean van Lierde, un obiettore di coscienza cattolico che andai apposta a trovare a Bruxelles; il film Tu non uccidere di Autant-Lara... e potrei continuare.
Tutto questo si innestava nell'inquietudine di un giovane di provincia, di famiglia proletaria, "dissidente" nelle file dell'Azione cattolica, che alla Corsia dei Servi di Milano aveva la fortuna di abbeverarsi alle fonti del cattolicesimo più avanzato che preannunciava il Concilio: le letture fatte e le persone incontrate allora mi hanno segnato per sempre. E spero di essere riuscito a sdebitarmi (almeno un po') scrivendo la biografia di uno che c'era (e c'è ancora!), padre Camillo De Piaz, pubblicata l'anno scorso (Sulla frontiera, Libri Scheiwiller).
Allora solo un paio di teologi francesi e qualche maestro di fede - come don Primo Mazzolari - sostenevano l'obiezione di coscienza sia pure come un volere (cioè una "vocazione") non certo un dovere di tutti i cattolici. A me bastava e trovavo più di una conferma nei padri della chiesa precostantiniana. Sentite, ad esempio, che cosa scrive San Cipriano (III sec.): «Il mondo gronda di sangue fraterno. L'omicidio è considerato delitto se commesso da singoli ma, se organizzato e attuato collettivamente, lo chiamano valore» (Epistola a Donato, 6).
Mi sentivo insomma chiamato a una libera scelta di testimonianza che diventava per me un dovere (percorrendo così - ma in senso inverso - la strada proposta da Colombo, cioè assumere il dovere come libera scelta). Era una decisione controcorrente, la mia, esposta al pubblico dileggio (non si scherzava con "Dio-Patria-Famiglia"!) e mi consolava l'affermazione di Gandhi: «nelle questioni di coscienza, la maggioranza non conta".
Certo in quei primi anni '60 era così inaudito, inconcepibile che un cattolico, proprio in nome della "nonviolenza evangelica", rifiutasse di fare il militare che fino all'ultimo non ci hanno creduto nemmeno i miei più cari amici: "sarai mica matto?".
Tralascio i particolari della vicenda. Dico solo che il processo davanti alla Corte marziale (gennaio 1963), che i più avveduti delle alte sfere politico-militari avrebbero voluto evitare, è stato come un piccolo fiammifero che incendia una grande prateria. L'obiezione di coscienza in Italia non è stata più la stessa grazie non tanto al mio fiammiferino ma agli interventi autorevoli di padre Ernesto Balducci e di don Lorenzo Milani, che hanno prolungato la risonanza del "caso Gozzini" fino al 1966 pagando di persona molto più di me per la loro coraggiosa e autorevole solidarietà (denunce e ostracismi, processi e condanne).

Giuseppe Gozzini